Strategia di un abbandono

Istituzioni nemiche, tre mesi in trincea dopo il terremoto tra deportazioni e spopolamento programmato. Non vi dimenticheremo.

Pubblicato il 3 Febbraio 2017

Non ho storto la bocca più di tanto, ormai dai distillati in su ingoio qualsiasi obbrobrio, ma un certo fastidio la stucchevole formula Strategia dell’abbandono che tanti invocano per lamentare una violazione di diritti che non ha precedenti me l’ha provocato. Oltre l’hashtag – non è un caso popoli gli inutili social dietro gli artigli spuntati dei leoni da tastiera – non descrive nemmeno per sommi capi la situazione postbellica appenninica che abbiamo vissuto in trincea negli ultimi tre mesi.
Spopolamento programmato già mi è sembrata una coniazione più in linea con le dinamiche del cratere, difatti l’ho vista emergere nelle stanze dove ancora si prova a dare un nome alle cose con cognizione di causa e le virgole al loro posto, ma mi spingerei un po’ oltre, se di gestione post sisma vogliamo parlare.

abbandono post terremoto

Lo Stato non ci ha abbandonato, lo Stato ci ha dichiarato guerra. E’ in corso un’operazione per annientare l’entroterra, nemmeno troppo velata, goffamente mascherata da inadeguatezza e inefficienza della macchina burocratica. Fa più comodo prendesela con la pachidermica burocrazia che ammettere un disegno criminale, da noi lautamente finanziato, peraltro. Gli inviti – reiterati fino al fastidio, con le scosse in diretta, a ogni maggiore o uguale a magnitudo 3 – a portare i nostri culi tremolanti sulla costa la punta dell’iceberg ormai talmente emerso che ci si è sciolto tra i piedi.

La valorosa Regione Marche, capita la gravità della situazione, si è concentrata per non sprecare tempi e risorse e ha partorito due importanti atti: pubblicizzare durante il concerto di capodanno pro sisma nella sismicissima Civitanova Marche le belle spiagge del pesarese su rete nazionale e intimare l’inesorabile abbattimento di qualsiasi struttura sorga dove un povero cristo cerchi di salvarsi dal freddo o salvare le sue bestie da tre metri di neve. Delle quasi quattrocento stalle richieste ne sono state consegnate, ad oggi, due; una è crollata sotto la neve dei giorni scorsi, ma l’assegnatario non si era fidato e ha lasciato le vacche sotto la vecchia stalla inagibile, salvandole. In ogni caso, realizzare una struttura qualsiasi è un abuso per la Regione al plurale che non mancherà di punirvi con una solerzia quasi da soggetto privato.

Ci hanno dimenticato da subito. Né Ancona né Roma hanno mobilitato i corpi di emergenza per soccorrere un territorio colpito dalla più grande sciagura dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Un territorio di poche migliaia di abitanti, che nelle logiche di Protezione civile nazionale e regionale forse non valeva lo sforzo dei soccorsi, che si è soccorso da solo.
Abbiamo affrontato un’emergenza conseguente a una scossa che non ci ha decimati per miracolo con le nostre sole forze. Gagliole, Matelica, Sanseverino, Castelraimondo, Camerino e decine di altri piccoli paesi hanno salutato i soccorsi, quelli seri, solo una settimana dopo la scossa di domenica 30 ottobre 2016 che ci ha raso al suolo. L’esercito non l’ha visto nessuno. Una Protezione civile del tutto inadeguata, ci ha sorvolato in elicottero, non ha visto tetti crollati ed è volata altrove. Tutti al mare.

C’è chi addirittura ci lusinga con un paragone tra noi e i NOTAV: «Se in Val di Susa infatti si diventa in men che non si dica blecche blocche, gli abitanti dell’Appennino che per ragioni personali o lavorative vogliono rimanere nel loro territorio rifiutando di essere deportati lungo la costa diventano gli irriducibili. Quasi dei pazzi, dei blecche blocche montanari appunto, che per ragioni inspiegabili vogliono rimanere sotto la neve e sopra la terra che trema. Si tralascia il fatto che non tutti, mancando un welfare adeguato, hanno la possibilità di spostarsi abbandonando tutto e che il più delle volte si tratta di persone che da decenni preservano (gratis) un territorio montano completamente abbandonato a sé stesso dalle istituzioni».
Tutto giusto, non fosse che l’attitudine alla lotta non appartiene proprio così tanto a questa terra, a questa gente. Qua, nel democristiano Stato della Chiesa immerso in una secolare aura mediocritas, al massimo si organizza una manifestazione di protesta a Roma, capeggiati da un comico – altrove, in Italia, la formula ha funzionato, avranno pensato – ispirandosi a chissà quale altra manifestazione vista sui TG negli scorsi anni, con cartelli scritti col pennarello su fogli A4, rigorosamente col caps lock, rigorosamente sui social che movono il sole e l’altre stelle. Io non azzarderei paragoni troppo romantici, ecco.

Siti e autori appena più in vista nella mia nicchia, già di per sé proiezione di una percentuale di popolo e lettori immagino assolutamente non rappresentativa, quindi senza voce – e su questo online e offline non differiscono -, riportano storie dall’epicentro che resiste (questo sì, dignitoso), raccontano voci dal cratere, pubblicano foto dall’inferno di neve e macerie. Le istituzioni non si commuovono, pubblicare pecore sommerse dalla neve e mucche con un palmo di ghiaccio sul dorso non spostano posizioni né avvicinano soluzioni. Nel 1997 si fece di tutto per mantenere la gente sul posto, oggi si è fatto con più rapidità possibile il contrario. Spostare tutti al mare prima che ci si accorgesse della deportazione. Tutti al mare, già il giorno dopo, per non tornare più. Chi non se n’è andato è stato cacciato via. «Tornerete, tranquilli, appena avremo sistemazioni provvisorie per le vostre case»; intanto il Nera sommergeva le strade, il Vettore si spaccava, la volta del cielo vibrava e pioveva cemento. Non ci credeva nessuno nemmeno allora. Quando i sindaci parlano, ancora oggi, di «inagibilità permanente» intendono questo: qui non si ricostruirà più. Fine. Qui resterà una morte che ha lasciato sul campo cadaveri di calcestruzzo, quindi poco notiziabili.
I container che avevano promesso per Natale non si sono visti, come era prevedibile. Cosa fate ancora lassù, abbandonati da Dio e dagli uomini? Lo dicono i parlamentari, mica il mio compagno di bevute al bar. La loro idea per “contrastare lo spopolamento”; ecco perché il cratere arriva praticamente in riva al mare. Nel 1997 qualche pastore del mio paese portò le pecore in piazza, le lasciò pascolare fin dentro il municipio, fin tra i piedi del sindaco. I sindaci del territorio, che si sono già spesi più di quanto avrebbero potuto, più di poco non possono purtroppo fare, al massimo possono infrangere la legge o lasciare che i loro concittadini lo facciano e cercare di proteggerli dalla Questura o dalle decine di Carabinieri ancora in ronda contro non si sa chi o cosa, qua sono scappati anche gli sciacalli.

Abbiamo tutti le nostre colpe. Terremoto o meno, se non sappiamo gestire un metro di neve fa bene lo Stato a deportarci lungo la costa. Se chi ha i trattori parcheggiati in garage passa il tempo a lamentarsi che il Comune non passa a pulirgli la strada, se chiedo al Sindaco anche di spazzarmi i calcinacci da davanti la porta, se preferisco urlare il mio dissenso su facebook invece di capire a chi imputare la colpa del nostro malessere e a lui rivolgermi senza troppi salamelecchi, se non so distinguere bene da male e nel male causa da effetto, se l’urgenza è ripartire e dimentichiamo che già prima del sisma tutto si era fermato da anni e non possiamo recuperare un modello fallimentare senza ripensarlo, allora ci meritiamo gli alberghi dell’Adriatico. Che comunque non vedranno mai un soldo per le nostre misere permanenze, per quanto ci abbiano aspettato a braccia aperte (grazie al cazzo, dove li trovano più i turisti). Ma se dopo il 1997 si fosse ricostruito come dovuto, se si fosse sorvegliato quel lavoro, se si fosse investito in sicurezza un patrimonio per la ricostruzione che ha trasformato decine e decine di fabbricati accessori in seconde e terze case, qualche crollo e tante lacrime si sarebbero evitati.
A Roma oggi non c’è una lira, ad Ancona, una volta scoperto dove stavano i Sibillini, il romagnolo Presidente ha tirato un sospiro di sollievo: «Fortuna un altro terremoto in Umbria. Portiamo la Protezione civile al mare, magari da Foligno qualcuno approfitterà della nuova superstrada per rifugiarsi a Civitanova». Scherzi a parte e detto con un fanculo tra i denti, l’Abruzzo ha deciso di permettere costruzioni in legno su aree agricole già a dicembre, il Lazio l’aveva stabilito mesi prima, in Umbria le casette in legno sono da tempo in piedi a Norcia e sugli Appennini. Nell’entroterra delle Marche se tiri su un trave in legno sei un criminale e sarai perseguito per legge con una determinazione degna di una multinazionale.

Istituzioni nemiche. Una Protezione civile dannosa oltre che inutile. Una sovrapposizione di corpi di verifica e controllo che ha del grottesco, un Leviatano che passa i giorni da mesi a contraddirsi. Le mani viola dal freddo dei Vigili del fuoco che tiravano fuori quei bambini nell’orrore del Rigopiano ci hanno mostrato qual è l’unico corpo dello Stato che merita il nostro rispetto, tutti gli altri stanno solo soffocando la nostra sopportazione già ridotta al lumicino e anche questo è parte di una strategia dell’abbandono che punta a sterminarci. Cosa se ne faranno poi di queste terre senza di noi non è dato sapere. Cosa mangeranno al mare quando qua non pascolerà più una mucca – escludo il loro pesce velenoso – nemmeno è cosa nota. Dove scapperanno, lungo la costa, quando i nostri fiumi ormai senza controllo né cura esonderanno alle loro foci è un altro mistero.
So per certo che, ovunque saremo anche se spero qua ai piedi dei nostri Sibillini che amiamo ancora nonostante il male che ci hanno fatto, oggi conosciamo quanto contiamo per i nostri governanti. Non lo dimenticheremo, se sopravviveremo. Non vi dimenticheremo.



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