2021: Lockdown reloaded

Un anno dopo, ancora in lockdown. Stessa sorte, stesse attese, stessa disillusione. No, non è andato bene un cazzo di niente.

Pubblicato il 22 Marzo 2021

La storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa.
Questa è la farsa. Il secondo lockdown esattamente un anno dopo.

lockdown 2021

Le scuole sono state le prime a rimetterci, ancora, ovviamente. Istruzione e cultura sono sempre sacrificabili in Italia, primo Paese a chiudere, ultimo a riaprire, primo – e unico, a suo tempo – a richiudere. La ministra Azzolina – che sarà ricordata per i banchi a rotelle ma troppi ne ha fatti, di danni – almeno sulle chiusure si è sempre messa di traverso; stavolta non ha alzato la voce nessuno. un po’ già ci manca.
Sui banchi ci rivedremo a settembre, ma un mese dopo aver sprangato gli ingressi i contagi sono ancora in impennata. Non so quale capro espiatorio cercheranno adesso, con il freddo di questo equinozio non si può nemmeno dare la colpa ai runner. Forse nessuno: messo a tacere chi non ha figli e pensa che i focolai siano le scuole (dalle mie parti direi di no), ahimè grossa parte dell’elettorato e questo spiega questa vergogna delle chiusure, non serve più attribuire colpe.

La scuola è pericolosa, mica è una fabbrica o un centro commerciale. E se si tengono i bambini lontano dalle scuole per tutelare gli anziani, non se l’è domandato nessuno da chi portano i bambini i genitori che lavorano? Dai nonni? Ma che davvero?

Intanto nessun piano trasporti potenziato, i mezzi gli stessi di uno e due anni fa. Se mancano gli autobus per portare i ragazzi a scuola, chiudiamo la scuola. Qualsiasi avventore di qualsiasi bar avrebbe trovato una soluzione migliore; forse per questo hanno chiuso anche i bar.
Il punto è che qua i mezzi pubblici non li prende nessuno, nemmeno gli studenti, e quei pochi che transitavano erano esclusivamente per studenti. Oggi circolano vuoti. I lavoratori sono salvi, nel tragitto (lo erano anche prima, nelle loro automobili), fossero stati gli studenti gli untori: qui non siamo in città. Ma con la curva che non accenna a rallentare, il risultato tende a sottolineare un altro fallimento. Il segno dell’inutilità di una classe dirigente che non ha saputo dove mettersi le mani a primavera del 2020, come in autunno e oggi. Per domani sarebbe folle avere fiducia.

Mentre di curarti dal virus se ne guardano bene, nonostante sia curabile, dice la scienza. Devono vaccinarti, non curarti. Ovunque, dicono: in azienda, in farmacia, nei parcheggi. Ma i vaccini non ci sono, l’unico disponibile non lo vuole nessuno e pur di tenere russi e cinesi fuori dalla porta UE preferiscono farci morire. Perché lo ripeto, per quanto questo virus non uccida il 99,75% di chi incontra, non vogliono curarci in virtù di accordi commerciali con chi brevetta un preparato. Come se non l’avessimo pagato noi, già, il vaccino, con i fantastiliardi pubblici piovuto sulla ricerca nello spavento della prima ondata.
Che poi possa ammazzarti anche il vaccino o, addirittura, non funzionare, non importa a nessuno. Business is business.

La farsa del secondo lockdown

E siamo al secondo lockdown. Ho imparato qualcosa dal primo, sono arrivato preparato e stavolta mi sono trovato un lavoro poco prima della zona rossa. Prigionia pericolo scampato (ma sarei evaso comunque). Tutti i giorni salgo in auto, attraverso una decina di comuni e due province per andare al lavoro in una città di quaranta mila abitanti a quaranta km da casa. Mai visto un controllo. E non ne sento la mancanza.
Anche per strada, al mio misero paese, chiudono gli occhi. Infatti stanno tutti in giro, in coppia, in gruppo. Manco fanno più finta di fare attività motoria in improbabili abbigliamenti tecnici. Hanno vietato l’accesso ai giardini e circondato di nastro biancorosso le panchine, sempre nell’ottica di perseguitare i bambini finché si è potuto dar loro la colpa, ma vecchi e ragazzi si sono solo spostati di pochi metri. Non puoi recintare ogni muretto, ogni angolo al sole, ogni marciapiede.
Né controllare le case, dove i ragazzi passano le serate. Senza bar né cinema né altro luogo di aggregazione o cultura dove pensavano finissero tutte le persone che fino al coprifuoco erano in giro? Che dovrebbero fare i ragazzetti che si strusciano in tiro nel pomeriggio al corso, dopo le 22? Salutarsi e a domani? Li avete avuti mai vent’anni? Ecco, non ve lo devo spiegare io.

lockdown marche

Dove vivo ci sono, al momento, quasi 250 casi positivi al Covid19 su diecimila abitanti.
Oltre due ogni cento abitanti. Un’enormità. Ma pensiamo quanti due centesimi ci vogliono per fare un euro. Ecco, forse questa psicosi è un tantino esagerata: negarmi di mettere il naso fuori casa, con questi numeri, non è giustificabile. Io e il prossimo ci schifiamo reciprocamente da oltre vent’anni, non ho nulla da imparare sul distanziamento sociale.
I posti di blocco in aperta campagna, i droni sui sentieri di montagna del 2020, ecco, non stanno in cielo né in terra. Visti i decessi in questa città per Covid – quattro in due anni, tre dei quali con patologie pregresse o età avanzata – rischio più di morire investito da un’auto che di Covid. Infatti i controlli sono più formali che sostanziali. Eppure la fonica che ci ricorda che moriremo tutti ci esorta a restare a casa. Come se il deserto in cui vivo, in quarantena da quel terremoto che ci ha semi spianato, si fosse ripopolato da un anno a questa parte.

Rivedo le foto di marzo 2020, ripercorro quei pensieri cupi, disperso nei boschi, in fuga sui monti. La paura di allora era l’ignoranza sul coronavirus: non si sapeva dove si nascondesse, come si trasmettesse, come ci si ammalasse, come proteggersi. Si poteva solo fuggire ma ovunque le forze dell’ordine ci braccavano. Un anno dopo non è cambiato un cazzo, di questo virus e della sua trasmissibilità non ha capito una sega nessuno e i governi navigano a vista. Un paese civile non lo accetterebbe, noi al massimo lasciamo che al governo si avvicendino una marionetta con un’altra, ma la seconda dai fili più lunghi.

La prima sbagliò tutto, non so quanto in buona fede; la seconda fece lo stesso ma ampliò la maggioranza a tutti, così in virtù della spartizione ignobile della torta tra tutti scomparve ogni opposizione. Difatti, stavolta nessuno alza un dito e, sempre di fatto, almeno, ci lasciano fare come se lockdown non fosse. Pagheremo il conto anche di questo, tra lacrime e sangue, ma adesso accontentiamoci di questa libertà vigilata cui ci siamo abituati. Perché ci si abitua a tutto: ci guardiamo allo specchio con museruole sul volto e nemmeno ci sembra strano.

Sopravvivere, la prima esigenza nella terza ondata

I bar tirano giù le serrande e aprono le porte sul retro. Gli agriturismi per averti a cena ti registrano come ospite appena entri, su instagram iniziano timide ad apparire foto di tavoli apparecchiati come nessuno in casa apparecchierebbe. In qualche modo bisogno sopravvivere.
I vecchi con la mascherina sotto al naso continuano a saltarti addosso per scavalcarti nella fila alle casse. L’autocertificazione nemmeno si sa più dove – e quale – si trovi e giustificati motivi per stare in giro, domenica compresa, ce ne sono talmente tanti, anche in zona rossa, che le forze dell’ordine nemmeno ci provano a fermarti. Deve essere frustrante anche per loro, immagino. Per questo continuo, nonostante tutto, a muovermi tra vicoli e strade secondarie: uno sbirro frustrato non è mai un piacere incontrarlo.

Semplicemente, ci siamo rassegnati. Resiste ancora qualche arcobaleno scolorito sui balconi. Nessuno ci prova più a convincersi che andrà tutto bene, già che in un anno non è andato bene un cazzo di niente. Ci siamo rassegnati ad ammalarci e sia quel che sia. Se sei fortunato non te ne accorgi, se sei sfortunato stai male, se sfortunatissimo ti intubano.

Intanto, nelle Marche

Nelle Marche poco più di duecento terapie intensive per un milione e mezzo di abitanti, con mille positivi al giorno. I piani di ripresa che dovrebbero sollevare l’Italia prevedono però più fondi per la digitalizzazione del Paese che per la sanità. Abbiamo imparato la lezione, insomma. Quando tutto sarà privato, saremo privati di tutto. La lezione è che qualsiasi atrocità basta dirla con autorevolezza, avendo alle spalle UE e BCE che approvano e un emiciclo complice, che anche un “crepate stronzi che noi ingrassiamo sulle vostre carcasse” sembra un incoraggiamento. Teniamoci i tricolori alle finestre, non ci meritiamo di meglio.

Con questi numeri, comunque, una domanda me la faccio. Nelle Marche 220 posti in terapie intensive per un milione e mezzo di abitanti, con mille positivi e una decina di morti al giorno e un’occupazione delle terapie al 60%. I conti non li so fare, ma quanta parte di chi risulta positivo si ammala e, in prospettiva, finisce intubato o muore?

Secondo me sono numeri piccoli, spero mi aiuterà chi conosce l’aritmetica. Piccoli mi sembrano, comunque, tanto piccoli da portare l’uomo comune a una disinvoltura nei comportamenti che tanto ci sono poche probabilità di finire male, coi vecchi vaccinati e le misure di sicurezza ormai consolidate. Fosse servito poi il distanziamento, o le mascherine, le soluzioni idroalcoliche. O chiedere scuole e palestre e giardini e cimiteri e panchine e tutti li mortacci loro pijasse ‘ncorbo.

Lavoro in un ufficio in cui siamo in otto, tutti con figli piccoli o under 30.Trascorriamo dieci ore al giorno spalla a spalla con mascherine di stoffa – portala tu la ffp2 tutto quel tempo – e ancora sopravviviamo; perché siamo innocui in confronto a due bambini in altalena all’aperto ai giardini?

E come un anno fa, restiamo in lockdown ancora in attesa di un miracolo, di un vaccino, di un’estate. Un po’ più disillusi di allora, almeno.



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