Terra e mare tra Bari e Brindisi

Un sorriso e tanta luce nel bianco della Puglia centrale.

Pubblicato il 29 Maggio 2023

Potrei sembrare quasi un travel blogger, ultimamente, o uno di quelli che una volta producevano reportage e racconti di viaggio per un pubblico che poteva solo immaginare luoghi e tempi allora fuori dalla portata di molti. Non è così per fortuna. Sono e resto lo sfigato che ero e dove viaggio io – a giudicare da quanti turisti mi trovo tra i piedi nelle feste comandate, che sono le uniche in cui ormai posso permettermi di uscire di casa – ci vanno e ci sono già andati tutti prima di me. Chiaro che non lo faccio per questo, ma solo per assecondare il vizio di raccontare quello che vedo, che mi è rimasto da quando provavo a fare il giornalista, e il mese di aprile aveva un paio di bei ponti così, tornato dalla Grecia, qualche giorno di vacanza in Puglia mi è sembrato una buona idea.

Con la Puglia – con quasi tutto il Meridione, in realtà – si va sempre sul sicuro: bel sole, bel mare, buon cibo, costi contenuti. Sono partito per trascorrere il ponte del 25 aprile in Puglia senza ambizioni particolari oltre il mare e il sole e il vento: tante sono le puntate fatte negli anni nel tacco d’Italia che non mi aspettavo che tornando avrei sentito il bisogno di riportare in forma scritta l’esperienza. Eppure mi era già successo, potevo immaginarlo. Ho scoperto una nuova Puglia, o magari ho solo messo a fuoco che esistono tante Puglie, anche nella stessa Puglia, e che ogni volta possono stupire.

Scendere l’Adriatico fino in fondo mostra quanto è lunga l’Italia, quanto sono in secca i fiumi, quanto tutte le località costiere di villeggiatura si assomigliano, fuori stagione, per l’abbandono eredità dell’inverno. La xylella ha bruciato milioni di ulivi in Salento, uno spettacolo truce di qualche anno fa che ancora non dimentico, ma tra Foggia e Bari sembra non abbia attecchito: avrei voluto farci caso un paio di decenni prima, per confrontare la quantità di ulivi e scoprire se questa terra ha sostituito quella giù a sud nella produzione di olio o era già così. I fichi sono già pronti sui rami, le querce verdissime quando da noi sono appena in fiore, un bianco accecante e il blu dei tetti dei trulli al tramonto ad Alberobello, dove alle 19 tirano giù le serrande per lasciarti al silenzio del tramonto tra vicoli lucenti.

alberobello

Alberobello

Il bianco dei centri storici

È il bianco dei centri storici che, inaspettatamente, più mi cattura. Non lo so perché, non è certo la prima volta che mi ci perdo, né in Italia né altrove nel Mediterraneo, ma sembra che stavolta non riesca a staccare gli occhi da queste pareti luminosissime. Sarà l’abitudine al colore marrone del tufo e del travertino dei miei Appennini, ma sto godendo di questa luce da Alberobello a Fasano. Nelle città deserte sotto il sole del primo pomeriggio i panni stesi in strada, di fronte alle porte affacciate sui vicoli la gente siede sugli scalini, i bambini giocano in terra. Il confine tra Salento e Barese passa di qua, per questo centro del triangolo tra Bari, Brindisi e Taranto. Porticati e grandi piazze, il mare porta il suo odore tra le strade, tra i ciottoli, fin sui sagrati delle chiese alte tra i vicoli stretti.

fasano

Fasano

Torre Canne è la marina di Fasano: sotto il faro sembra ci sia un paesetto vivo, come se fosse abitato tutto l’anno e probabilmente lo è davvero, visto quanto è curato già in aprile. Di questi tempi, in borghi turistico balneari simili a questo, regna ancora l’abbandono, ma non in questo caso; non così tanto come mi immaginerei, almeno. Dev’esserci qualche migliaio di abitanti in questi pochi chilometri di piccole case, tra porticciolo e spiaggia. D’altra parte, se Fasano fa 40mila abitanti senza dimostrarli, evidentemente sono sparsi tra località marittime e collinari attorno al paese, qui compreso.

torre cann

Torre Canne

Una turistizzazione differente

Quell’accento barese, quella cadenza, più di trent’anni dopo di quando scendevo in treno da Civitanova a Molfetta, per poi girarmi la Puglia centrale e le Murge come un locale e con i locali. Erano i primi del nuovo millennio, non avevo una ruga, ero magro e con la barba nera. Tornato in Piuglia, dopo un’assenza di decenni, un paio di anni fa, mi sono accorto in un attimo che giù in Salento i tempi e i luoghi sono cambiati. Certo, laggiù parliamo, non da oggi, di una destinazione di turismo di massa importante e nota al mondo, dal campeggiatore nord europeo in cerca di terra selvaggia al milionario cinese che viene a sposarsi in masseria. Invece, nella Puglia centrale, immaginavo fossimo fuori rotta, o almeno io che un po’ ho battuto queste strade immerse tra distese di ulivo a perdita d’occhio non mi ci ero mai fermato.
In parte, però, degli indizi che il turismo è diverso li trovo: tutto è curato, pulito, non c’è traccia di povertà (raramente se ne trova, al Sud) né di abbandono; l’impressione è che terra e città siano custodite da chi ci vive per chi ci vive, e non per venderle ai turisti e ai loro selfie. Che poi ne godono anche i turisti è vero, ma tra bancarelle e negozi capisci al primo angolo giro di sguardi che fuori dal centro storico – più o meno turistico esso sia – vita locale ce n’è.
E un senso di sicurezza e tranquillità è diffuso. Vent’anni fa giravano i Defender coi rostri dei carabinieri per difendersi dalle auto armate dei contrabbandieri; oggi non ho incontrato non dico un mezzo delle forze dell’ordine, ma a momenti nemmeno la polizia locale.

polignano

Polignano a mare

Chiaro, se dici Polignano a Mare stai indicando una meta che dalla Finlandia agli Stati Uniti conoscono e difatti volti pallidi sotto capelli lisci biondi e pelle ustionata violacea ce ne sono a profusione, in questa assolata domenica. Lo riconosci dai risciò per il giro del centro a picco sull’Adriatico, dai prezzi nord europei, dall’artificialità dei prodotti nelle vetrine, il potenziale di questo bel paese, ma riconosco che è anche grazie a questa turistizzazione che pompa soldi nelle casse locali se tutto è stato ristrutturato, tutto è curato, tutto sembra nuovo. E ciò nulla toglie all’anima pugliese di questa zona, che resta poco sotto la superficie comunque genuina, e per certi aspetti non esito ad accostarla a tratti siciliani o altro mediterranei per bellezza ed esperienza, ma con più cordialità, organizzazione, pulizia, cura, sicurezza; chi vive qua vuole vivere bene, questo è chiaro. Ha anche imparato a far tesoro del bello e del buono creato. Come biasimarlo?

Conoscevo Monopoli solo per il treno che va da Lecce a Schaffhausen che cantavano i Sud Sound System nel fine millennio. Un paesone, lo riconosci dalla zona industriale, poi commerciale, poi residenziale, col centro storico che sembra non arrivare mai mentre ti avvicini al mare e d’un tratto esplode in altezze e fortificazioni su un mare turchese che ne esalta il bianco. Ho avuto una bella sorpresa, con Monopoli, a cui non davo troppa fiducia.

monopoli

Monopoli

Un’atmosfera familiare e particolare assieme, giochi di luce tra i vicoli incantevoli, serenità ed emozione tra la luce e il bianco delle pareti. L’età media di chi è in giro è alta, è la mia direi: esclusi i turisti, i giovani sono tutti al Nord, o all’estero, o comunque altrove, a studiare o lavorare. Dai tempi dei Sud Sound System e da molto prima, l’emigrazione questa terra non l’ha mai abbattuta. Eppure ci sono molti più passeggini qua che dalle mie parti.
Mi domando se ci vivrei, me lo domando in ogni luogo in cui vado, e la risposta a freddo è quasi sempre la stessa: Sì; vero che temo servizi, infrastrutture e organizzazione territoriale – specie se si hanno problemi – siano carenti, ma da me non ci sono proprio più tra fuga dall’entroterra di popolazione e servizi e terremoti e alluvioni. Quindi sarebbe meglio vivere qua, almeno avrei il mare.

Flavor and taste in Puglia

Un assaggio di taralli non è mai meno di un paio di etti; ho mangiato così tanto polpo che temevo mi spuntasse un terzo braccio; il Primitivo della cantina Due Palme in ogni bancone, dai bar agli alimentari fino agli scaffali dell’Eurospin. Nella grande di distribuzione, negli hard discount, non vendono frutta e verdura o ne hanno pochissima: ci sono fruttivendoli ambulanti, tanti e affascinanti, incastonati nei centri come quasi fossero elementi strutturali delle città, e la gente del posto acquista da loro, non al supermercato.
Ricordo quei pranzi di ore, vent’anni fa con gli autoctoni, e non pranzi di matrimonio ma semplici pasti di un giorno lavorativo qualsiasi con una pausa pranzo dalle 12 alle 16. Muratori baresi che pranzavano con me, delle cui espressioni non capivo un cazzo di niente ma sorridevo cercando di sfruttare al massimo competenze sociali residue, stuccavano un chilo di pane di Altamura a bocca e una boccia di Primitivo su due piatti cupi di pasta a testa per tornare in cantiere sotto il sole di luglio più freschi di me che, pur allenato (al vino, non al cibo), abbassavo la testa molto prima di loro.

Da Ostuni, città bianca arrampicata su un colle tra distese di ulivi, scendo a Villanova, marina e porticello tra le insenature della costa frastagliata brindisina. Vedo arrivare la tempesta a Oriente, come quella volta all’anfiteatro di Torre dell’Orso quando ancora non circolavano i trenini turistici e arrampicato sulla roccia c’era scritto un Lu sule lu mare lu ientu quando ancora non ci stampavano le magliette, quella volta stesi sul cemento caldo ad aspettarla, quella volta che il cielo ce la portò addosso, la tempesta, prima che ce ne accorgessimo. Per un attimo mi sento ancora allora, e ho un brivido, e riconosco una sensazione tra le costole che non lo so come si chiama, ma so che significa quando mi chiama.

villanova

Villanova, Ostuni

25 Aprile di attesa e Libertà

Lascio terra e mare il giorno della Liberazione, che qui ho come l’impressione sia meno sentita che da noi: a Brindisi giungeva, a bordo di una nave, il re Vittorio Emanuele III in fuga da Roma dopo l’armistizio reso noto l’8 settembre, in terra già liberata; Taranto e Brindisi, porti appartenenti più all’Oriente che all’Europa, erano in mano agli Alleati, che ne avevano fatto il solo territorio nazionale senza invasori. Sui miei monti, iniziavano invece nove mesi di guerra civile.
Ci tengo al 25 Aprile, sono stato abbastanza esplicito negli anni, ma ho preso da qualche anno la bella abitudine di schivare l’antifascismo da passerella delle manifestazioni e non faccio eccezione di quest’anno; me ne sto quindi alla larga dall’ipocrisia di chi appoggia l’invio di armi e supporto e denari a regimi fascisti e si atteggia ad antifascista; gli stessi che per anni, a quelle manifestazioni, ci intimavano di ammainare le bandiere. Bandiere che sono state le sole, nella storia, a sconfiggere l’oppressione, l’opportunismo, l’ingiustizia. Ecco perché a queste manifestazioni c’è sempre chi chiede di toglierle.
Qualche chilometro a nord, tra spiagge di sabbia bianca e centri storici tornati color pastello, attendo il 25 Aprile lontano dai miei monti per salirci un paio di giorni dopo, quando al monumento saremo solo io e il Capitano.

torre canne

Torre Canne

Voglio vedere il mare

Riconsegno le chiavi dell’appartamento in riva al mare in cui ho trascorso questi giorni a chi me l’ha affittato, a Torre Canne, in un mattino di sole intenso e mare luccicante, un cielo incantevole, nella solita luce abbagliante riflessa sul bianco del centro. Mi saluta e fa per andarsene, ma poi torna sui suoi passi, si dirige verso la spiaggia. “Non ho mai tempo per farlo”, mi dice mentre gli spunta dal viso il più sincero dei sorrisi. Oggi è un giorno festivo: “Voglio vedere il mare”, aggiunge.
Quel sorriso, in quella luce, riflette il mare. E mi consegna una pace che non bastano seicento chilometri per oscurare.



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