Galiza, terceira batida

Deica logo, Rias

Pubblicato il 31 Ottobre 2011

Procedo a ritroso le 1906 per ritrovarmi mezzo dizionario galego in tasca, una bacheca intasata da gente che parla il dialetto de Cóllicélli e messaggi deliranti in uscita a ore minuscole che solo l’intransigente Orange m’ha salvato dal dover con non poco imbarazzo giustificare.
L’accento milanese dell’abruzzese mi notifica che in tutta Vigo, noi inclusi nel computo, non arriviamo a dieci italiani e dopo questo dato è superfluo spiegargli perché, tanto grande l’universo ispanico, ho scelto proprio questa Ria.
Mostro a testa alta la i cerchiata del logo del frigo, felice come pochi mentre appoggio il dito sul nome proprio che segue il 60044, intreccio qualcosa che ha novia per soggetto, trabaja per verbo e il cerchietto con la i dentro in direzione dell’indice come stato in luogo, senza farla lunga che a dirla tutta nessuno dei tre elementi del periodo è propriamente vero, il primo soprattutto. Ma di meglio non valeva la pena costruire, sintatticamente. Là, tra gli Appennini, sulle proprietà del soggetto c’ho messo giorni a far luce, con esiti che definire scarsi è uno slancio di ottimismo che non mi appartiene. Almeno qua fatemi illudere che sia tutto semplice nella semplicità del mio essere straniero, come semplice mi sembra questa gente. O più che semplice superficiale, ma non lo dico con accenti negativi. Dove c’ha portato la complessità italiana? Quanto guadagnamo a spaccare sempre e comunque il capello in quattro? Ci trasciniamo una pesantezza millenaria sulle spalle mentre altrove, in questo altrove, se vuoi X chiedi X e ottieni X senza troppo sottilizzare. Cheppoi mi abbiano chiesto X ottenendo per risposta da alfa a omega è un altro conto. Ho le mie giustificazioni. Fuori luogo, nel senso letterale dei termini, ma le ho.
In molti paesi dell’America latina gli spagnoli li chiamano Galegos. La dice lunga sull’emigrazione di questo popolo, che “non si lamenta, se ne va”. Massimo rispetto, aggiungerei. Tutta la pioggia che il cielo s’è tenuto per mesi si rovescia senza sosta sul grigio verde del Sud del Nord. L’entroterra in dissolvenza sfumato da una luce umida.
Il confine. La raya. Di qua Tui, di là Valença, di qua Galicia di là Portugal, di qua galego di là quasi, pure, direi. In mezzo il Miño. In mezzo il Minho. ¡Ourense quema! 62°C temperatura dell’acqua che sgorga da una buca del Rio Minho. La pioggia la fredda appena. Immerso tra vapore e pioggia, con le cime verdissime dell’interno a bucare il cielo bianco, sento fino all’ultimo millimetro quadro di epidermide quanto me hace falta altra epidermide addosso.

Basta una cartina per farsi una cultura coi toponimi: Costa Blanca, Costa Calida, Costa del Sol, Costa Dorada, Costa della Luz, sul versante opposto. Costa da Morte, per la Galicia. Le tibie incrociate sotto il teschio dicono più di tante indicazioni turistiche. A Coruña. La Madrid galega, la máis pija, Zara e fighette. A Vigo non la consigliano, ovviamente. A Vigo lavorano con PSA e Pescanova, a Nord con moda e turismo. Ma la Torre de Hércules, per un istante, da sola, ti ci fa pensare che sia solo invidia quella dei vigueses. Che basti il faro – funzionante – più antico del mondo a far sì che A Coruña mandi a casa Vigo. Il vento che là in cima, ultimo presidio del mondo conosciuto prima che la terra cada dall’Oceano, ti sposta sul serio, l’altezza sconfinata dell’apertura atlantica che ti blocca la mandibola. Grandezze che ti estraggono in un campo tanto lungo che le vertigini sono la più insignificante tra le reazioni che ti si accavallano in gola.
Però non basta, quello. Niente è più un granché, vista Vigo. E leggeteci quello che volete, ma affondateceli gli occhi tra las Islas Cies e il Camino del Monte Calvario, prima. Poi ne riparliamo.
Torrida consapevolezza che coi soldi rimastimi in tasca non torno a casa, una forza tutt’altro che ignota che mi trattiene dal lanciare l’SOS dinero in patria, l’occasione per ancorarmi a Occidente sotto gli occhi e lascio scorrere le ore incantato dalla pioggia che fa a pezzi l’Oceano. Solo uno il pensiero che mi lega ancora agli Appennini, il pensiero con cui da giorni mi tengo in equilibrio e aspetto sia il vento a spostarci. O noi a resistere. La risposta, come sempre, dove i due blu che qua sono tutto tranne che blu si fondono.
Se a Santiago de Compostela c’era una magia, m’è sfuggita. O magari arrivarci in pellegrinaggio invece che sulla Renfe potrebbe insegnare qualcosa, ammesso che ci sia bisogno di camminare chilometri per aprire un dialogo con se stessi. O magari i miei occhi non aspettavano altro che tornare a nutrirsi dei colori della Ria Baixa.

La vera essenza di Galicia. Una tromba d’acqua balla sulla costa da ore, alerta naranja, le flotte ferme in un porto dove l’acqua arriva ormai a livello molo. Il cielo s’abbassa fino al suolo per sciogliercisi sopra in un’esplosione di luminosità spiazzante.
Sta arrivando il mio turno. Ormai nemmeno mi sforzo più, col castellano. Non me ne sono andato, lo sai. Sai anche che non me ne andrò. Non sono chiunque. Infrangerò una promessa per sostiutirla con un’altra. E’ una cosa che non ho mai fatto, prima. Non lo so se mi riesce. Ma posso farlo perché faccio un torto solo a me e so come perdonarmi. Posso farlo perché le regole decadono col tempo e nella natura di ogni contratto inadimplenti non est adimplendum.
Al decimo caffè gli occhi si chiudono lo stesso. Vorrei si riaprissero e fosse tutto finito. Vorrei riaprirli quando tutto doveva ancora essere, solo per farmelo passare di nuovo attraverso. Mi arrendo, li lascio cadere. Mi hanno dato già tanto. Li riaprirò di là, la consapevolezza di ciò che lascio e ciò che trovo in perenne ritardo. Anche stavolta, lo so, l’aspetto. Ti aspetto, dall’altra parte, dove c’è chi ha aspettato per entrambi.

21-27ottobre2011_continua



Dillo a tutti

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Qualcosa in merito
  • qui ci si spamma a vicenda
    e si mietono kilometri, che siano sugli scarponi o sui binari. concordo sul fatto che l’arrivo alla meta esaurisca il suo fascino, tra il poligono industrial e i tratti al lato dei camion che sgommano in statale. Ma più brutta di Vigo, non ce n’è. Al prossimo deja vu

    (in tema spam, sei pure un Ninja: coincidenze varie ed eventuali> http://www.ninjamarketing.it/2010/06/04/liste-nozze-online-e-matrimoni-2-0-intervista-a-simona-spinola-di-zankyou/)

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