Brasile 2013. Ancora a occhi spalancati

Reportage tropicale, pt.I. Trancoso - Porto Seguro, Bahia

Pubblicato il 29 Agosto 2013

E fica mais lindo por causa do amor

Realizzo fin dall’immobile tangenziale Ovest, pianura padana alle spalle, quanto non mi mancherà l’Italia, qualunque cosa compaia oltre Atlantico. L’impatto con la compagnia biancorossa di bandiera verdeoro, nomi italiani sui tesserini, cadenza genovese su dialetto altopotentino, l’enorme 777 per la traversata tra gli emisferi mi confermano l’impressione della circonvallazione meneghina e mi proietta già oltre. Chiudo gli occhi per riaprirli al di sotto dell’Equatore, al di sopra della distesa sconfinata di luci paulista, al di là della grande massa d’acqua.
Il fuso protrae la notte un’infinità di ore, è un’alba umida e densa, calda, quella che scorta lo sdoganamento nell’imbronciato Guarulhos. Uno scalo confuso in un terminal che si fa piccolo e tenue nell’attesa dell’imbarco per l’approdo in terra do descobrimento. Porto Seguro, Bahia. porto seguroUn aeroporto internazionale ma non un ponte che unisca i lembi all’estuario del Rio Buranhém. Un’esperienza democratica, la chiatta: cani, Mercedes, persone, taxi, moto, furgoni e ambulanti sulla stessa barca. Insegne di ogni tipo scritte a mano, selve di cavi elettrici a bassissima quota su pali appesantiti da trasformatori arrugginiti, pubblicità dipinte sui muri, automobili così vintage da essere d’epoca usate come mezzi da lavoro, filo spinato elettrificato sulle recinzioni, autobus dai vetri infranti per strade senza asfalto ma con un numero elevatissimo di dossi dissuasori di velocità. Magari velocità: chilometri di sterrato con buche profonde mezzo pneumatico e due assi in legno per il transito sopra i fossi e jungla folta e fango fino ai montanti separano il capoluogo da Trancoso.

trancosoQuello sudbahiano è un piccolo assaggio delle contraddizioni del Brasile, un approccio morbido al peggio che aspetta verso Sud, vuoi per le dimensioni piccole di quanto non è natura, vuoi per l’assenza relativa di ricchezza sfacciata del centroNord del Paese tropicale che fa sembrare meno impattante la povertà. Estremi che convivono nella medesima realtà, comunque, non mancano. Stride a ogni metro il “Paese ricco è paese senza povertà” che arranca nel compiere il motto federale.
Con un centro storico patrimonio UNESCO, Trancoso ha avuto un’economia mossa dal baratto fino agli anni Cinquanta, nei Settanta gli Hippie l’hanno eletta loro sede comunitaria e l’elettricità è arrivata solo un decennio dopo. Riletta da qualche decennio come meta ecochic, attorno al Quadrado e alla chiesa di São João Baptista è arrivato il turismo, scoprendo un paradiso di dodici chilometri di spiaggia che sembra cous cous bagnato da trenta metri di ballo delle maree.
trancoso
Il jet set internazionale se n’è accorto: trascorrono vacanze sul litorale di Trancoso Naomi Campbell, Leonardo Di Caprio, Steven Spielberg, Lapo Elkann. Nascoste dalla vegetazione sono sorte ville che non possono che avere quei nomi là come proprietari.
trancosoNel confuso agglomerato per decenni di pescatori e allevatori, poche decine di metri dalla costa, invece, usciti dal Quadrado dominano altri elementi. Baracche di foratelle senza vetri alle finestre coperte da lamiere – nei migliori casi da qualche asse di legno che per parare la pioggia deve attendere di dilatarsi bagnato dalla pioggia stessa – fianco a fianco a lussuose abitazioni protette da cani da guardia e camere di sorveglianza, cinte da mura elettrificate, conservate in vita da manutentori locali. Troppi cani senza padrone dormono per strada a pochi passi da lounge bar super cool che servono caipirinha a prezzi quasi europei. Gente in costume e Havaianas tutto l’anno bivacca in fronte a sfornitissime botteghe o alle spalle di tavolate di artigianato artistico in attesa di turiste dalle borse firmate. Tuguri senz’acqua né strade né luce tra fogne a cielo aperto con antenne paraboliche e inquilini iPhone in mano. Il crack muove giorno e notte le mani della criminalità verso assalti armati alle ville o rapine agli avventori casuali ignari della guerra tra poveri che ormai, dicono, sia parte integrante anche di questo angolo ancora sconosciuto alle rotte turistiche mainstream.

trancosoAqui começa o Brasil. Spinto dalle correnti o dal caso o dalla certezza che qualcosa laggiù esistesse, Pedro Álvares Cabral toccò terra su queste coste nel 1500. Una vegetazione scintillante nella bruma del mattino, versi di animali sconosciuti, uccelli dai colori sgargianti, scimmie veloci tra le mangrovie e le palme, noci di cocco aperte a colpi di machete, bamboo da quaranta centimetri di diametro, granchi giallorossoneri, piogge di portata tropicale in rapidissimo transito nell’inverno dell’emisfero australe con temperature che il Mediterraneo a volte sognerebbe anche d’estate. Un’umidità che mette fuori uso una penna dopo l’altra. Il sole alto, a mezzogiorno a Nord.
I Testimoni di Geova predicano porta a porta, la domenica mattina come nel resto del mondo, anche qua, ma devono vedersela non con gli adesivi “non bussate a questa porta” bensì con la concorrenza. Di sicuro non cattolica: le “chiese” moderne occupano una baracca su tre con le loro quattro sedie e lo striscione inneggiante alla signoria di Gesù, i riformati urlano le loro interpretazioni della Bibbia megafoni in mano nelle piazze, battisti e avventisti e pentecostali e assemblee di Dio e mille altre chiese che sembrano aule scolastiche schiacciano trenta a uno almeno, come presenza, la chiesa di Roma.
trancosoUn solo gioco per i bambini, ovunque, sferico da calciare. Dove un terreno spiana troverai due porte. Gli adulti, invece, sembrano stanchi. Chi lavora dà l’impressione di farlo controvoglia. Chi lavora non è bianco, chi non lavora nemmeno. I bianchi sono quasi solo i turisti, in numero proporzionale all’appetibilità della stagione invernale e ai suoi cicli vitali che quaggiù se ne fottono se nel vecchio continente la popolazione attiva approfitta della chiusura estiva delle attività. Qualche italiano è qua da trent’anni. A uno un grosso abbraccio, pa’ caramba. Lentezza in ogni movimento. In Brasile, oggi, analfabeta è chi non conosce l’inglese e non ha dimestichezza con l’ICT. A occhio e croce una percentuale abnorme. In quanto all’analfabetismo classico, da qua in su verso nord, temo ci si aggiri su numeri da Italia postbellica. Non indago per timore di conferme.

trancosoUna prima osservazione finisce per ricondurre tanti sguardi, altrettanti timidi approfondimenti, ulteriori superficiali interrogativi per quanto la discrezione o lingua permettano – alla gioia di non usare l’odiato inglese si sostituiscono tutti i limiti di un galego/settempedano che col luso/portoghese ha qualche affinità e molta comprensione, ma parlare con gli autoctoni è ben altro – a questioni di sviluppo, avanzamento e arretratezza. Di terzomondismo si discute nel primo mondo, ma non so quanto nel Sud del mondo – in questo Sud – sostengano responsabilità del colonialismo che ha sfruttato le loro risorse per lasciare sul posto miseria. A maggior ragione vista la scarsa longevità del benessere che tanto avrebbe dovuto apportare all’Europa, se siamo messi come siamo messi. E sul neocolonialismo da un lato e il sentimento antimperialista dall’altro, sugli utili del petrolio investiti in parte per lo sviluppo e il prezzo del carburante a livelli sudeuropei, sulle materie prime esportate in mezzo mondo e l’imposizione sui beni non prodotti in Brasile, sulle rivolte per il costo dei trasporti pubblici – alto per il costo della vita locale – e l’assenza di una riforma fiscale progressiva, troppo si potrebbe dire. Troppo avrei voluto chiedere in loco, ma avrei avuto bisogno di tempo e lingua e conoscenze che non avevo. Che non avrò più.
Porto a casa più rimpianti che risposte. Non bastano il web e l’internazionalizzazione dell’informazione a capire da qua – il qua di ora – quello che ho visto là con l’idea in testa con cui ero arrivato. Idea smontatasi in poche ore: semplicemente, nessun paragone tra realtà così distinte è sostenibile.
trancosoUn appunto m’è rimasto addosso dal primo all’ultimo giorno, e oltre, nato da un immancabile spaesamento causato dai ritmi, dai tempi, dai modi. “Ordem e Progresso” cerca il Brasile dal 1889. Dopo l’ordine senza progresso della dittatura, sembra si stia correndo verso il progresso senza ordine. Il Nord non progredisce come il Sud e il progredire del Sud si procura profonde lacerazioni visibili in ogni strada delle megalopoli. Una doppia velocità, che a Bahia è vera e propria lentezza. Non ci sono grattacieli da costruire, né competitors da sconfiggere, né quote di mercato da penetrare, né profitti da reinvestire e nemmeno brand awareness da costruire.
Non per questo i bahiani stanno peggio di noi. Ho visto sorrisi. Gente felice con nulla. Aggregazioni spontanee di persone che sembravano più libere di me, perché inconsapevoli della corsa al progresso e della rincorsa allo step beyond cui abbiamo agganciato da troppo le nostre vite. Da cui siamo condizionati in ogni gesto, veicolati in ogni intenzione. Da cui finiremo per essere travolti temo nemmeno tra troppo tempo. La banalità di accorgersi di quanto si avanza meglio con obiettivi meno complessi. E la tristezza di volare oltre oceano per prenderne atto.

trancosoA metà pomeriggio si fa già buio. Luna crescente dal basso. La via lattea, nella notte scura davvero, sembra una nuvola tanto è densa. In basso splende la Croce del Sud. Come al centro della volta stellata al centro dell’oro al centro del verde della bandiera.

08-12 Agosto 2013
_continua
(parte II→)

Soundtrack:
brasile
Barbatuques, Bahianá
Ana Carolina, Cabide
Toquinho, Amor em paz
Baden Powell, Berimbau
Vinicius De Moraes, Canto De Ossanha



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