Brasile 2013. Ancora a occhi spalancati (III)

Reportage tropicale, pt.III. Santos, São Paulo - São Paulo

Pubblicato il 10 Settembre 2013

E fica mais lindo por causa do amor

Agli aironi al posto dei gabbiani non ti abitui presto. Non in due settimane. Alle dimensioni quindi alle distanze del Paese nemmeno. Il cambio di stili di vita da Nord a Sud non lo assorbi con cinque giorni per stato. I salti dell’escursione termica suppongo sorprendano anche gli autoctoni, a giudicare dalla confusione degli abbigliamenti per le strade. Dal colbacco al costume nella stessa via. La diversa pronuncia della medesima parola da parte di ogni diversa bocca non ti stupisce più quando smetti di concentrarti per capirla.
L’unica via percorribile dagli autobus con destinazione Santos – il porto di São Paulo – passa per São Paulo stesso anche provenendo dalla costa. Santos sta a un’ora di discesa dalla Capitale. La Capitale sta a una giornata, ovviamente, da ogni altro stato. Tra tornanti avvolti da mata atlantica e città che sembrano costruite ieri, ecovergogne lungomare e tuguri parabolica muniti, tra assi di penetrazione a dodici corsie e sterrati allagati. Se un appunto sulle vie di comunicazione brasiliane va fatto, al netto di ogni critica all’eccessivo – per non dire esclusivo – trasporto su gomma, ripercorro i biglietti staccati. Sono molti, per altrettanti tratti, per duemila chilometri. Da Bahia a Minas Gerais, da Minas Gerais alla Costa Verde. santosE ora dalla Costa alla megalopoli. Autobus e barche presi senza conoscere stazioni o fermate, senza conoscere orari, senza conoscere tratte e percorsi, senza conoscere prezzi. A volte senza certezza dell’esistenza. Eppure, considerata anche la difficoltà linguistica soprattutto in fase di comprensione, non è saltata una coincidenza, non c’è stato un ritardo, non una soppressione mezzo, non un imprevisto. Sicuramente fortuna, ma questo è successo. In Italia, provassi ora uno spostamento di un decimo della lunghezza e complessità di quello in questione, so per certo per un decennio di esperienza da pendolare sulla schiena che non otterrei la stessa sorte.

Santos ha un lungomare chilometrico luccicante, edifici altissimi e hotel di lusso vi si affacciano inondati di sole riflesso sui vetri o assorbito dagli intonaci immacolati. Semafori acustici per non vedenti, led cangianti colore accendono soffusamente le palme curatissime in aiuole giorno e notte coccolate dagli attrezzi dei giardinieri. Uomini appesi ad altezze folli a lucidare vetrate e acciai. Statue e fontane e monumenti a conferire eleganza al passeggio adiacente l’enorme spiaggia lucida, duecento metri di ampiezza per sei chilometri da punta a punta per gli amanti dei numeri – una volta e mezza Copacabana in entrambe le dimensioni, per gli amanti dei confronti -. Surfer e skater sugli spot, docce pubbliche ogni cento passi, uffici di accoglienza turistica in tram d’epoca restaurati, grandi viali alberati e un clima che trasmette un’insolita sicurezza e una tranquillità sospetta.
santos
Ma l’acqua dell’oceano è nera. Perché Santos è un porto. Il più grande porto dell’America latina: l’orizzonte è occluso da una barriera di navi cargo e gigantesche petroliere in attesa d’ingresso. Rimorchiatori fanno la spola, le gru delle macchine portuali – voltato l’angolo – sostituiscono i grattacieli in uno skyline che si fa da turistico a industriale. Perché Santos sta là dietro, nascosta nell’ansa dell’estuario. santosLa photo opportunity del lungomare perde colore man mano che si penetra il centro storico: i marciapiedi si decompongono fino a farsi sterrato, i runner della spiaggia si fanno mendicanti e travestiti malandati sulle panchine, gli alberghi favelas, le biciclette tir carichi di container, i grattacieli malandate casupole dove poco appetibili puttane, avanti con gli anni e in evidente sovrappeso, sulla porta elemosinano clienti senza troppa scelta.
Al mercato del pesce sezioni di animali marini più grandi e di parecchio del mio tronco, pentolate di frutti di mare più economici di un piatto di pasta, in parte di certo per il protezionismo nazionale che impone pesanti tariffe sui prodotti non Made in Brasil (Barilla ha solo un ufficio a São Paulo, dieci dipendenti senza produzione, per citarne una). Le Smoking costano più dell’infumabile Trevo, ma tanto non fuma nessuno. Questa politica economica spiega anche quelle orribili Fiat Mille, che altro non sono se non le Fiat Uno degli anni Ottanta, che l’azienda di Mirafiori produce in loco con stampi vecchi di trent’anni per aggirare le tariffe sull’importazione di prodotti stranieri, che renderebbero i prezzi dell’utilitaria non accessibili (con la Gol la Volkswagen fa lo stesso).
santosQuasi un paulista su due ha almeno un antenato italiano, più o meno sei milioni di persone, più o meno il doppio della più grande città italiana.
Tra Ottocento e Novecento era questa la terra toccata dall’altra parte del mondo dopo mesi di navigazione in cerca di fortuna. Gli europei sbarcavano a Santos. Potesse parlare, questo porto, racconterebbe tante storie. Ci sono monumenti agli immigrati, sul lungomare. La statua di Pelé – Santos è conosciuto al mondo per Edson Arantes do Nascimento e per il Santos Futebol Clube -, per capirci, è arretrata di isolati. La tartaruga embricata, che ti aspetti in mare aperto a mangiare spugne, solleva la testa tra sacchetti e taniche e rifiuti vari sotto il molo dei pescatori.

Un’esperienza da fare, una volta nella vita, São Paulo. Una. Decisamente più hardcore che turistica, ma se volete il turismo ci sono i Club Med, al Nord. I piedi sulla linea del tropico del Capricorno e la testa a 800 metri di altezza, la città più popolosa dell’emisfero australe risponde arrogante, forte della sua enormità, fin dal primo sguardo spaventato all’uscita della metropolitana di chi si sente per forza di cose un trascurabile nulla – fisicamente parlando – in quelle tridimensionalità che l’occhio, se non alza la testa, nemmeno afferra. Il buio cala molto prima di quanto stagione vorrebbe, in strada, che il sole, dal primo pomeriggio in avanti, è appannaggio esclusivo delle cime dei grattacieli. In basso c’è ombra. sao paulo
In Avenida Paulista – viale che concentra il cuore economico della città, luogo simbolo nel punto più alto, uno dei centri della megalopoli troppo grande per avere un solo centro – ancora i segni delle manifestazioni dei giorni scorsi: vetrate qua e là infrante nelle vie laterali, incitazioni alla rivolta e minacce al governo o alle istituzioni in generale richiamano l’attenzione visiva dalle pareti.
Le reti locali trasmettono a ciclo continuo la notizia che il Congresso brasiliano ha trasformato in legge la proposta di destinare tutti gli introiti delle tasse sul petrolio a favore di interventi nella sanità e nell’educazione. Senz’altro un effetto delle rivolte. Senz’altro un piccolo passo avanti. Senz’altro. Poi ci sono un paio di canali paulisti che, tutto il giorno, seguono dal vivo sviluppi di cronaca locale. Che detto in altre parole, trasmettono in diretta h24 riprese da elicotteri di crimini in corso per le strade di São Paulo.
A onor del vero, a guardare il centro, miseria certamente tantissima ne trovi in giro, disperazione altrettanta e angoscia forse ancora di più, ma criminalità manifesta o pericoli a ogni passo – certo, limitandosi alle ore di luce e a zone relativamente tranquille -, come ogni informazione presa in Europa vorrebbe, non ne ho incontrati. Magari anche questa è stata fortuna, ma le fortune iniziano ad essere troppe.

L’angolo giro dalla cima di uno degli edifici più alti della città – Edificio Italia, tricolore alla base, 168 metri da terra – consegna una sensazione di smarrimento inedita, e allo stesso tempo imprime un’esperienza che – assorbita e rielaborata – non hai la certezza di poter definire con aggettivi positivi. I 15/10 del mio occhio nudo non hanno visto una fine.
sao paulo
Altezze da capogiro e, sotto, voragini colme di rifiuti e accampamenti di clochard tra un grattacielo e l’altro. Antenne a forma di Tour Eiffel, truppe speciali di polizia coi teschi sui mezzi. Non un bimbo in carrozzina, tutti sulle braccia delle madri. Tag a estintore da terra ai terzi piani. Blindati della sicurezza coprono i portavalori che escono già pistola in pugno, cane armato e dito sul grilletto. Centri per l’impiego mobili con vecchi che smazzano curricula in strada attorno ai lampioni. Distributori automatici di libri in metropolitana, gente che legge su carta e non da display.
sao paulo sao pauloLa cattedrale metropolitana fa pensare che gli evangelici avranno sì due seguaci su tre cristiani, ma una chiesa come quella – ottomila fedeli, dicono contenga – hai voglia a mettere assieme sale riunioni per raggiungerne la mole. La piazza antistante – quella che potrebbe essere Piazza del Duomo a Milano, per un confronto – conta almeno quattro accampamenti di senzatetto. I più fortunati aspettano la morte in “tende” improvvisate con teli e spazzatura varia, i meno sotto i cartoni. Molti altri sotto le stelle, dubito cogliendo lati romantici.

sao pauloLo spicchio basso di luna è cresciuto a coprire tutto il cerchio. Al Guarulhos si chiude il giro al tramonto, la fine dove tutto iniziò, come tutto iniziò, con chi tutto iniziò. Il sole dalla parte opposta. Una tempesta equatoriale fa zigzagare il 777 ore sull’Atlantico, l’applauso italiano all’atterraggio mi riproietta in estate con cinque ore di vita in meno.
Ho letto nei tuoi occhi paura e meraviglia, gioia e stanchezza, sconforto e pace, incredulità e soddisfazione. Ho espresso nei miei lo stesso. Ci siamo trasmessi tutto questo da sguardo a sguardo, l’abbiamo conservato nelle dita intrecciate, in abbracci senza i quali certe scene avrebbero tramortito le coscienze, ma senza i quali altre scene avrebbero avuto meno valore. Abbiamo costruito significato, là, quasi alla fine del mondo. In un Paese che ruba i sensi, sfugge alle definizioni, affascina e ferisce, si concede senza riserve per entrarti nel cuore e tu vorresti lo facesse senza passare per la testa, quando capisci che t’ha conquistato.
Perché non sentiremo la mancanza, ma la consapevolezza che alle nostre spalle c’è quell‘alternativa a questa situazione senza futuro, dove fingiamo di guardare avanti per non ammettere che strisciamo, non ci lascerà più liberi.

19-23 Agosto 2013
_fine
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Post Scriptum: la letteratura sul tema è ovviamente molto vasta. L’ho ignorata, prima, per non crearmi punti di vista, più o meno pregiudiziali, da confermare o smentire. L’ho ignorata, poi, perché nemmeno il tempo di smaltire il jet lag e l’asfissiante miseria quotidiana ha ripreso inflessibile il suo comprimere il domani ingoiando a occhi chiusi memorie e intenzioni.
Tuttavia, più per interoperabilità XML che per query di ricerca, più per prossimità temporale che per topic individuati con metodo, immediatamente prima e dopo il periodo in questione sono entrato in contatto con contenuti interessanti, da cui ho tratto informazioni qua e là riportate anche in questo e nei precedenti post (da Bahia a Minas Gerais, da Minas Gerais alla Costa Verde). Rimando a e vivamente consiglio la lettura di Brasile: dopo il pane vogliamo le rose. Il tetto di cristallo dei governi progressisti?, recente post di Gennaro Carotenuto; dello stesso autore, giornalista esperto di America latina, l’archivio per il tag Brasile dei suoi interventi apre molte vie d’approfondimento.
Brasil em movimento, carovana di attivisti, ha documentato per GlobalProject una decina di giorni in movimento nel Paese, tra Agosto e Settembre 2013: qui il perché della carovana e questo l’archivio dei reportage.
Una bella metafora della situazione conflittuale brasiliana dei mesi estivi è raccontata da Cauê Madeira in Cronaca di un titano incompreso.
Poi, per chi fosse in procinto di partire, Beppe Ceccato ha scritto la guida Brasile, nel 2006, per De Agostini (Clup Guide). Certo, ormai è datata, ma IBS la vende a due soldi, è strutturata e interessante, e garantisco che di scaduto non c’è niente. A me ha fatto un’ottima compagnia.

Soundtrack:
brasile
Mo Horizons, Pé Na Estrada
Kaleidoscópio, Você Me Apareceu
Tim Maia, O Caminho Do Bem
Caetano Veloso, Sampa



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